L’obiettivo di questa ulteriore trattazione è quello di giungere ad un più semplice utilizzo dello smart working, ipotizzando aree di miglioramento anche sulla base dell’esperienza internazionale.
LA GESTIONE AMMINISTRATIVA E TARIFFARIA DEGLI SMART WORKERS
Le clausole del contratto di assunzione
Se lo smart working diventa un istituto facente parte del consueto svolgimento dell’attività lavorativa, allora esso dovrebbe essere inserito come clausola in sede di assunzione, in quanto implica una definizione più puntuale della sede di lavoro.
Il nostro Ordinamento, infatti, non contiene una definizione chiara ed incontrovertibile di sede di lavoro. Può venire in aiuto la lettura del primo comma dell’art. 1182 cod. civ. in materia di “luogo dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie”, dove si evince che la prestazione del debitore deve essere eseguita nel luogo determinato dalla convenzione o dagli usi e, in assenza di tale determinazione, nel luogo desumibile dalla natura della prestazione o da altre circostanze.
Specifica nel contratto di lavoro
Sarà dunque fondamentale, per una serie di conseguenze amministrative (es. distinzione tra unità produttiva e operativa ai fini Inps e Inail), retributive (es. trattamento diaria, trasferte e rimborsi) e, non da ultimo, assicurative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, specificare in dettaglio sulla lettera di assunzione questo elemento del contratto.
Potremmo suggerire la seguente formula, che ci sembra idonea a delineare la questione:
“La sede di lavoro, ai fini degli adempimenti amministrativi, è formalmente stabilita presso l’ubicazione della società in via…. In ragione delle mansioni assegnate, il lavoratore è tuttavia autorizzato a svolgere la propria prestazione anche e principalmente presso il proprio domicilio in via…. ovvero in altro luogo dallo stesso ritenuto idoneo allo scopo e di cui dovrà preventivamente e costantemente tenere informata l’azienda. L’azienda, dal canto suo, potrà in ogni momento chiedere al lavoratore l’accesso e/o l’esibizione di quei documenti a conferma della salubrità ed idoneità dei luoghi di lavoro prescelti”.
Ovviamente, una specifica e ben distinta previsione di un luogo di lavoro “variabile” e sicuro, quantomeno ad una valutazione diligente e conoscibile, di per sé non completa il contenuto minimo di un accordo di smart working voluto dal legislatore (L. 81/2017). Definire coerentemente la sede di lavoro fa però da calamita ad altre clausole del contratto, in modo da renderle compatibili e già pronte ad accoglierne l’innovazione in termini di semplificazione. Per esempio, le tematiche riguardanti orario di lavoro, indennità e benefits e rimborsi spese sono temi strettamente correlati al luogo in cui il lavoratore svolge la sua prestazione.
Al punto “Orario di lavoro”, per esempio, si farà quindi in modo da puntualizzare come le 40 ore settimanali saranno più un modo per misurare i singoli istituti normativo-retributivi (es. rispetto dei riposi, compensi per festività non godute, ecc.), che uno strumento di valutazione, in termini di qualità, della prestazione e dei risultati prodotti. Un accenno, inoltre, ai tempi di minimi di disconnessione ed al resto delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sicuramente non guasta.
Indennità e benefits
Parlando di “Indennità e benefits”, si potrà concordare che il buono pasto non spetta o addirittura spetta sotto forma di indennità mensa per i periodi in cui ci si connette da remoto in luoghi in cui non ci sarebbe possibilità di spendere i meal tickets. Aiuta in tal senso la recente pronuncia della Cassazione (Ordinanza 16135/2020) sulla libera recidibilità del datore di lavoro nella concessione dei buoni pasto, come la pronuncia dell’Agenzia delle Entrate (risposta ad interpello 301/2020) a conferma della non imponibilità delle somme fino a 5,29 €/gg concesse ai dipendenti a titolo di indennità sostitutiva mensa durante i periodi in cui non sia possibile l’utilizzo dei buoni pasto.
Analogamente, in tema di “rimborsi spese”, al dipendente verrà specificato che dovrà conteggiare il suo rimborso chilometrico dalla sede aziendale o dalla sede di lavoro a seconda del luogo più vicino alla destinazione finale della sua missione, in tal modo evitando che si possa sconfinare in un’imponibilità contributiva e fiscale come evidenziato nella Ris 82/E/2015.
Sempre in tema di spese ricollegabili al lavoro da remoto, sarebbe utile redigere un elenco di quelle che potrebbero essere pre-approvate (es. cartucce stampanti, licenze sw, ecc.), magari preferendone l’acquisto “on line” tramite account aziendale dedicato. Ci si potrebbe addirittura spingere a considerare come spese rimborsabili a piè di lista anche parte delle flat fees sostenute dal lavoratore per le utenze telefoniche e di connessione.
Uno sguardo all’esperienza internazionale
Diciamocela tutta, in Italia lo smartworking è sempre esistito, seppure poco utilizzato. Prima si chiamava semplicemente lavoro da remoto, ma suonava male, quindi se ne parlava semplicemente meno.
Per quanto riguarda la regolamentazione di esso, sicuramente siamo noi italiani a fare da apripista.
Intatti, se è pur vero che il “working by remote” è una realtà consolidata soprattutto nei paesi del Nord Europa, spesso frutto ed abbinata a politiche welfare family oriented, nessun Ordinamento di questi ha pensato di prevedere, prima dell’ondata pandemica, una regolamentazione generale dell’istituto.
Lo stanno ovviamente facendo adesso. Di fronte ad un’esigenza dettata da forza maggiore, infatti, non si può più lasciare alla regolamentazione privata la scelta di concedere il lavoro da remoto.
Nel Regno Unito, per esempio, non era mai stato congeniato prima d’ora un sistema di integrazione salariale pubblico (furlough), ma guai a quelle aziende che richiedessero l’aiuto di Sua Maestà per sostenere i salari dei lavoratori ove quest’ultimi avessero possibilità di lavorare da remoto.
Anche negli altri Paesi la situazione non è sostanzialmente diversa e la pandemia Covid ha sollevato la necessità di normative locali.
In Francia e Germania
In Francia, come Germania, la contrattazione collettiva si è mossa in anticipo in termini di regolamentazione del lavoro da remoto, ma pur sempre a garanzia di diritti del lavoratore di fronte a situazioni soggettive (es. cure familiari) piuttosto che in termini di obblighi agli stessi imposti.
Merita novero in senso contrario la Loi 1222-11 du Code du travail in base alla quale il lavoratore, di fronte alla tutela dell’interesse alla salute pubblica, non può rifiutarsi di essere comandato al lavoro in remoto a pena di essere licenziato.
In tema di lavoro transfrontaliero in connessione, infine, è importante far presenti le convenzioni di sicurezza sociale che, durante il periodo in corso, sospendono l’applicazione del Reg. UE 883/2004. L’art. 13 di detto Regolamento, infatti, sancisce che in caso di attività di lavoro dipendente svolta in modo sostanziale (leggasi almeno il 25%) nel Paese di residenza del lavoratore, obbligherà il datore di lavoro straniero a versare i contributi in detto Paese.
In relazione alla imposizione fiscale, di pari passo, per i lavoratori frontalieri in Svizzera è importante segnalare l’accordo del 22 giugno scorso tra il MEF e l’Ufficio Federale delle imposte che ha disposto la sospensione delle regole fiscali utili a definire lo status di frontaliere (rientro almeno 1 volta a settimana in Italia) durante la pandemia.
Parola d’ordine: semplificare
Il perdurare dell’emergenza epidemiologica ha fatto in modo di posticipare al 15 ottobre 2020 la modalità di gestione semplificata degli adempimenti correlati allo smart working. Ancora per poco tempo, quindi, si potrà mantenere o rendere “agili” le prestazioni di lavoro per quei dipendenti con i quali, allo stato dei fatti, non esista ancora un accordo “scritto” in tal senso. Basterà pertanto l’invio di una mail informativa (non recettizia) in termini di salute e sicurezza e una trasmissione massiva su ClicLavoro, tramite file excel, dell’elenco dei lavoratori coinvolti.
Abbiamo già indicato nel primo paragrafo quelli che sono alcuni elementi del contratto che, se definiti puntualmente, possono evitare di predisporre un nuovo accordo da aggiungere a quello già esistente, quanto meno per i lavoratori di nuova assunzione.
Sarebbe inoltre utile predisporre un accordo quadro o individuale plurimo (anche conosciuto come “regolamento aziendale concordato” per indicare un contratto a medesimo contenuto valido per tutti i dipendenti o categorie di essi, seppure siglato individualmente) che, non solo potrebbe essere richiamato nella lettera di assunzione snellendone il contenuto, ma essere utilizzato anche per i lavoratori già in forza con contratti datati.
È tuttavia agendo sulle procedure amministrative che si deve semplificare.
Un modello UniLav che al campo “sede di lavoro” ne affianchi un altro da spuntare del tipo “Modalità smart working: SI/NO” ed in cui allegare direttamente l’accordo o la policy che sia, semplificherebbe la vita a molti addetti all’amministrazione del personale nonché agli Organi ispettivi stessi in termini controllo tramite incrocio dei dati.
Una delle poche note positive della diffusione del Covid-19 è che ha costretto molte aziende a metter in pratica quello che la L. 81/2017 ha anticipato solo su carta. Ci auguriamo che gli accordi di settore non intervengano per ingessare il sistema, soffocando l’autonomia contrattuale privata. Cade a fagiolo l’ultimo DL 111/2020 con cui è stato disposto fino al 31 dicembre 2020 che i lavoratori dipendenti, con figli conviventi minori di 14 anni, potranno svolgere la prestazione di lavoro da remoto, per tutto o parte del periodo di durata della quarantena disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL a seguito di contatto verificatosi all’interno del plesso scolastico ove tale figlio studia.
Facendo un esempio, premessa l’esistenza delle condizioni di accesso, la norma inficerebbe quell’accordo di smart working preesistente sulla cui base il dipendente, durante la malattia/quarantena dei figli, avrebbe facoltà di attivare metà giornata di lavoro da remoto e per l’altra metà scalare permessi/rol (a tutto vantaggio dei costi aziendali).
Concludendo, se si vuole rendere veramente agile e, di conseguenza, degno dell’aggettivo che accompagna il nome coniato per questa modalità di lavoro “smart”, si dovrà fare di più e, paradossalmente, cercare di intervenire “di meno” sarebbe già un buon risultato.